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  • Romeo Castiglione 5:53 pm il 15 January 2015 Permalink | Rispondi
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    Pippo De Jorio, una lezione di coerenza 

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    Scende l’oscurità tra i meandri del tempo. Il giorno lentamente si spegne; l’illusione è smorzata dalla realtà. La porta è ancora chiusa: non è possibile aprirla. Nessuna chiave potrà mai spalancare l’uscio del mondo dei sogni. Nella testa rimbalzano le parole della canzone Buon anno professore di Massimo Morsello. «Buon anno professore/ coi tuoi occhi sereni e i tuoi capelli di gesso/ mentre conti i miei globuli bianchi e persuadi alla vita, deciso uno per uno ogni mio globulo rosso». Chiudo gli occhi, penso al futuro misterioso. Fisso con insistenza una fotografia adagiata sul tavolo. Filippo de Jorio sorride con fierezza; indossa un maglione verde scuro. Cammina per le stradine di Manocalzati: sembra Gabriele D’Annunzio. Perché no? Il professore de Jorio è il nostro D’Annunzio. Pare un eroe decadente. Intravedo nelle movenze il fracasso di un’epoca eroica. Il professore ha rappresentato una speranza per diverse generazioni. La sua lezione politica è tuttora attuale: egli ha forgiato i giovani cuori e ha offerto il culto dell’onore alla moltitudine smarrita. Ha indicato una strada precisa. Nell’epoca del Kali Yuga non c’è nessuna possibilità di vittoria. Occorre “cavalcare la tigre”; bisogna restare in piedi “in mezzo alle rovine”. E le letture dei testi di Julius Evola, di Ezra Pound e di Yukio Mishima hanno accarezzato le speranze rattrappite. In mezzo alle pagine dei libri ho ritrovato lo spirito del professore ed ho colto il filo dello spasimo.

    Il suo ricordo non andrà mai via. Non scomparirà, non si scioglierà come il ghiaccio sotto il sole rovente. Ho sempre apprezzato la sua coerenza, la militanza, la fedeltà verso un’Idea alta. Il professore ha legato la sua vita a un ideale e ha rappresentato un’alternativa poetica e malinconica. Avrei voluto ascoltare tutte le sue storie; avrei voluto udire i racconti di guerra, gli episodi crudi, i ricordi del fronte. E c’è un pizzico d’oriente tra le pieghe di un uomo leggendario. Egli fu un eroe valoroso. «Era solito il Maestro – dice Tonino Corbo in suo articolo – lamentarsi per la gamba dolorante, quella delle monache, dolore che si accentuava nel corso dei mesi invernali. Il fatto risaliva a tanti anni prima, durante la seconda guerra mondiale: un episodio verificatosi sul fronte balcanico. Per sfuggire a un pericolo, il professor De Jorio, allora giovane volontario del 144esimo Battaglione CN, nel saltare dalla finestra di un convento di suore dove si era rifugiato, si procurava la frattura a una gamba».

    De Jorio nacque nel 1918. Venne al modo in un periodo colmo di fermenti patriottici: trascorse la sua infanzia ad Avellino. Nel dopoguerra contribuì alla nascita del MSI in provincia. «Il Movimento Sociale Italiano – scrive Giovanni Acocella nel suo libro Notabili, partiti e istituzioni – si costituì in Irpinia in concomitanza della sua fondazione a livello nazionale. Contribuirono alla sua nascita vecchi componenti del partito fascista, altri giovani, meno compromessi direttamente, ma spinti da idee nazionalistiche e comunque riconducibili alle ispirazioni del Movimento stesso. Primo segretario federale fu l’imprenditore avellinese Alfonso Argenio. Svolsero un grande ruolo per l’organizzazione nel capoluogo l’architetto Aldo Pini, di origine bolognese, animato da una forte carica ideale, il professor Filippo de Jorio, ordinario di Storia dell’arte al Liceo Colletta, l’avv. Pasquale Acone, uno dei pochi che pagarono lo scotto dell’epurazione. Ad essi si aggiunsero il dott. Enrico Fioretti, oculista, e, in epoca successiva, l’avv. Fabio De Beaumont e l’avv. Pietro Cerullo, il dott. Gaetano Cerullo, De Lisio e altri». Filippo De Jorio fu il rappresentante dell’anima nazionalista e combattente e sociale.

    Dalle cattedre delle austere aule del Liceo Classico Pietro Colletta di Avellino ha indicato la stella da seguire. Insegnò per tanti anni la Storia dell’Arte. Ha segnalato ai ragazzi un’oasi nel deserto. E ha tutelato a spada tratta la libertà di espressione osteggiata dai “professionisti dell’antifascismo”. Non è mai stato retorico ed ha combattuto i falsi miti. Ha continuamente messo alla pari la Bellezza e l’azione alla maniera di Mishima; ha adorato lo splendore dei carri armati, la lucentezza degli elmi, la plasticità delle gesta epiche. Ed ha ammaliato la gioventù ribelle alla maniera di un “Maestro Miyagi” del Sud. Ha creduto fermamente nei valori immutabili; è stato un grande patriota, un combattente, un alfiere del passato eterno. Fondò l’agenzia giornalista “dejpress” e per oltre trent’anni vivacizzò il dibattito politico in provincia. Fu membro di molte Accademie nazionali e internazionali di arte. Trascorse il suo tempo libero nel laboratorio di via Pironti e si dedicò con passione alla pittura, alla scultura, alla lavorazione del vetro, all’arte grafica. Nel 1980 disegnò la copertina del libro dedicata al centenario della scuola enologica di Avellino.

    Egli difese in modo estenuante le istanze del Movimento Sociale Italiano; continuamente animò le iniziative all’interno della sede avellinese del partito. È stato un faro, un giornalista elegante, un grande politico. Intravide nella fiamma la salvezza nazionale. Aderì al MSI in maniera devota: non nutrì mai le ambizioni personali e lasciò il campo ai giovani. Le sue candidature furono sempre “di servizio”. Si spese per il partito in modo onesto, pulito; partecipò ai congressi non come delegato, bensì come giornalista accreditato in nome della sua agenzia giornalistica “dejpress”. Battagliò per tutta la vita; fu nello stesso tempo un anticomunista e un antidemocristiano. «Le idee si difendono alla luce del sole». Pronunciò questa frase nel corso di una riunione politica. Divenne un punto di riferimento per i ragazzi del Fronte della Gioventù. In quel periodo, purtroppo, andava di moda la “caccia al fascista” e nelle scuole e nelle università i missini contavano poco o niente. De Jorio tenne unito l’intero ambiente, spronò i giovani. Il Maestro navigò controcorrente e rappresentò la diversità nel mondo dell’insegnamento egemonizzato dalla sinistra: fu sempre disponibile al confronto a differenza della maggior parte dei docenti marxisti. Egli sostenne sempre la leadership di Giorgio Almirante e giurò eterna fedeltà alla fiamma. Nel ’76 ostacolò inutilmente i progetti dei dissidenti di Democrazia Nazionale e appoggiò pienamente la linea almirantiana. Supportò nel 1979 l’Eurodestra ideata dal segretario missino. Almirante, in occasione delle prime elezioni per il parlamento europeo, convocò a Roma i falangisti spagnoli di Fuerza Nueva e i rappresentanti del Parti des Forces Nouvelle francese guidato dall’avvocato Jean Louis Tixier-Vignancour. De Jorio appoggiò l’iniziativa e vivacizzò il dibattito in città e in provincia. Raggiunse numerosi comuni dell’hinterland, espose le sue teorie e difese tenacemente la destra. In quel periodo mostrò simpatia verso il sindaco di Manocalzati Arturo De Masi. «Il sindaco è una voce fuori dal coro in una provincia democristiana». Così disse in un pubblico incontro. Forse amò davvero Manocalzati. D’altro canto sua sorella Ida sposò l’ingegnere d’origine manocalzatese Emanuele Del Mauro. Il professore raggiunse il piccolo comune tantissime volte.

    Con grande linearità non condivise la svolta di Fiuggi e aderì al Movimento Sociale Fiamma Tricolore di Pino Rauti.  Filippo de Jorio non rinnegò e non confutò il principio primo speculativo d’identità e non contraddizione. Egli comprese in tempo i rischi della sterzata fininana. «Venne poi Fiuggi, – prosegue Corbo – il drammatico passaggio del congresso di Fiuggi, dove si sancì la fine del MSI. Il Maestro non comprendeva le ragioni, non capiva. La tattica e la strategia erano estranee a chi, della fede politica, ne aveva fatta una scelta di vita, sentimento profondo, testimonianza da tramandare. Non era risparmiato al Maestro questo calice amaro. La sua passione così affievoliva, l’entusiasmo declinava. Triste e disincanto soleva ripetere “Non capisco ma mi adeguo”. Forse coglieva nel cambiamento della politica il mutare del mondo attuale, mentre il suo, fatto di idee forti, uomini veri, sentimenti vitali, tramontava». Ebbene sì. Il suo mondo tramontava lentamente. Apparve nei suoi occhi la tristezza del crepuscolo. La svolta di Fiuggi fu per lui un dramma irreparabile.

    «Il Maestro de Jorio è un eroe». Un ex militante missino contempla con malinconia un vecchio volantino della fiamma. «Questo manifestino è un regalo del professore. Sai cosa mi disse? Difendi sempre i tuoi ideali. Purtroppo il Movimento Sociale non c’è più e la destra si è frantumata. De Jorio coltivò sempre il mito del MSI e difese le scelte del partito, ovviamente contestò la svolta di Fiuggi e seguì Pino Rauti. Il professore fu un ideologo. Egli avrebbe voluto non far morire il Movimento Sociale e avrebbe voluto spostare il partito verso le posizioni della destra radicale europea. Ammirò molto Jean Marie Le Pen. Oggi avrebbe salutato con simpatia il successo del Front National francese». In effetti è così. In fin dei conti il Front National di Marine Le Pen ha guadagnato molti consensi. Oggi al posto del vecchio MSI c’è la Lega Nord. La Lega ha occupato un vuoto politico. Credo che in Italia ci sia ancora lo spazio per una destra simile al Fronte francese. «De Jorio – prosegue l’ex militante – apprezzò molto la dichiarazione di Rauti in merito alla svolta di Fiuggi: è come se a un gruppo di cristiani si dicesse di diventare buddisti. Io resto cattolico, apostolico, romano. Io resto, in termini politici, missino». E il Maestro è rimasto missino. È rimasto missino alla maniera di un giapponese. Ma ha continuato a fare politica? Sì. Ha continuato con passione ed entusiasmo ed ha sostenuto le iniziative del partito di Rauti.

    Effettivamente il professore fu un pensatore intrigante. Egli è sospeso a metà strada tra Jean Marie Le Pen e Jörg Haider. Reputo che sia ancora un punto di riferimento in provincia. Non amò il compromesso e si collocò nel solco del pensiero rautiano: volle “andare oltre” e lottò sempre contro il sistema. Coltivò il mito della “terza via” e profuse tutto il suo impegno per la rinascita della destra. Non provò affetto per la cosiddetta politica delle alleanze e non salutò con simpatia l’avvento del bipolarismo. Egli avrebbe voluto mantenere il MSI all’estrema destra dello scacchiere politico. Il suo partito ideale avrebbe raccolto la protesta e avrebbe promosso alcune battaglie sociali. Con molta probabilità avrebbe perfino ottenuto un consenso ampio e avrebbe rallentato il processo di degenerazione. Il MSI avrebbe così mandato in “corto circuito” il sistema e oggi avrebbe contrastato l’immigrazione selvaggia, l’Europa delle banche e la moneta unica. In fin dei conti il Front National adesso raccoglie i frutti del lavoro di Jean Marie Le Pen ed è pronto per andare al governo. Emerge allora un pensiero maturo e articolato: de Jorio, forse, guardò alla Francia e al semipresidenzialismo. Avrebbe voluto competere contro un partito di centrodestra e contro la sinistra. Se il suo partito, per ipotesi, fosse arrivato al ballottaggio avrebbe trovato un accordo con i partiti di centrodestra (AN, Forza Italia, Pdl); questi partiti avrebbero sostenuto il suo per impedire la vittoria delle sinistre. Insomma il suo partito avrebbe dovuto attirare anche gli elettori del centrodestra. Certo, è un progetto ad ampio raggio. Il professor De Jorio brillò per la sua lungimiranza politica, per il suo acume, per le sue intuizioni. Il suo Movimento Sociale avrebbe ospitato adesso gli euroscettici, i nazionalisti, i tradizionalisti, i nostalgici, i conservatori e perfino i delusi di Forza Italia; avrebbe, insomma, rappresentato la vera opposizione e avrebbe sicuramente ottenuto il 15% o il 20% dei consensi.

    Morì all’età di ottantacinque anni il 4 marzo del 2003. Si spense in silenzio e lasciò per sempre la politica. «Lo ricordo armato del suo contagioso entusiasmo, – continua Tonino Corbo – lo straripante dinamismo conseguente alla solidità delle idee, con l’immancabile basco nero, segno distintivo della sua inimitabile persona. Un uomo d’altri tempi, scolpito da esperienze di vita irripetibili, e, oggi inimmaginabili, sempre pronto a offrire qualcosa del suo infinito bagaglio di esperienze di cultura, mai avaro nel distribuire consigli e moniti di vita. […] Verso la fine della sua vita non era stato risparmiato dalla malattia, affrontata con grande dignità, confortato sempre dall’inseparabile compagna, di una vita, la dolce compianta signora Mena».  Il 17 marzo del 2003 fu commemorata la sua figura nel corso di un consiglio comunale monotematico. Parteciparono alla seduta il sindaco Antonio Di Nunno, il vice sindaco Giuseppe Vetrano e gli assessori Annino Abate, Gerardo Capone, Luigi Cucciniello, Vittorio De Vito, Vincenzo Di Domenico, Antonio Gengaro, Giancarlo Giordano e Rosanna Rebulla. «Il professor de Jorio – disse il sindaco di Nunno – non era soltanto, come si suol dire, un noto personaggio di Avellino. Il de Jorio, da tutti appellato Pippo, è stato innanzitutto “un educatore”, una persona dai solidi convincimenti, difesi, sempre e strenuamente, con una coerenza di pensiero e di azione veramente notevoli, di cui bisogna dargli doveroso atto, soprattutto se rapportata ai nostri tempi dove si è portati troppo spesso a cambiare opinione, anche sulla spinta emotiva delle tante vicende nazionali. Io voglio ricordare Pippo de Jorio, qui in quest’aula, perché è stato una persona di grandiosa cultura, senz’altro tra le più colte delle nostra città, imponendosi in modo particolare nell’ambito della storia dell’arte, che magistralmente ha saputo insegnare. […] Ritenevo doveroso ricordare la Sua persona in un contesto pubblico e dignitoso, quale il Consiglio Comunale, convinto che la città di Avellino ha subìto, con la sua scomparsa, una perdita immensa, incolmabile. Pippo de Jorio ha avuto la fortuna di trascorrere una lunga vita, piena di eventi e di vicende che ha affrontato a modo suo, con spirito, come si dice, garibaldino. Riusciva ad essere sempre ironico, possedendo una battuta pronta ed arguta, con una punta di immancabile sarcasmo. Era veramente una magnifica persona. […] Sarà difficile vedere persone dotate di una cultura così ampia come quella di Pippo de Jorio, capaci a loro volta di saperla trasmettere sotto altra forma ed altri aspetti in maniera altrettanto totale e profonda». Credo che sia uno stupendo attestato di stima. Ed è vero: il professore ha affrontato gli eventi della vita con lo spirito garibaldino. Egli fu un ardito, un erede degli eroi risorgimentali, un futurista saturo di richiami byroniani. Inoltre fu un uomo coerente, costante. Amò visceralmente il Movimento Sociale. Il professore è un esempio per tutti. Il Presidente del Consiglio Comunale De Fazio, al termine della seduta, consegnò ai familiari del compianto professore un attestato di stima.

    Eppure quella fotografia sbiadita continua a farmi compagnia. È emersa dal dimenticatoio. Le linee disegnano un fondale vintage. Il professore è in compagnia del grande sindaco di Manocalzati Arturo De Masi. È un giorno del lontano 1982. Insieme con lui giunsero in paese l’avvocato Cerullo e molti militanti del vecchio Fronte della Gioventù. La destra avellinese si riunì a Manocalzati. Omaggiarono tutti la visita di Giorgio Almirante; il leader romano partecipò all’inaugurazione di una struttura prefabbricata offerta dal MSI. La struttura fu collocata nei pressi del campo da tennis di via Gradoni: usufruirono del dono gli studenti della scuola media. Il partito volle, così, onorare l’amministrazione comunale amica colpita dal sisma del novembre 1980. Filippo de Jorio incantò la platea tramite uno stupendo comizio; la gente locale fu sedotta dalla sua fine arte oratoria. Allora resta a me soltanto una vetusta istantanea e nulla più. Ammiro la coerenza del professore e annoto emozioni. Continuo a fissare la sua stella; solitamente brilla e rischiara l’infinita notte.

     

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  • Romeo Castiglione 8:38 am il 8 May 2014 Permalink | Rispondi
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    Cuore e grinta 

    Alfredo Covelli1Alfredo Covelli intervenne nel 1973 al decimo Congresso del Movimento Sociale Italiano con l’incarico di convegnista. Fu il suo primo discorso missino: il Partito Democratico Italiano d’Unità Monarchica confluì nel MSI per gettare le basi della Destra Nazionale. Così si rivolse alla platea in maniera splendida, elegante, forte, nostalgica. Non rinnegò la sua fede monarchica e mostrò a tutti la fierezza degli ideali. Egli incantò la calca con la sua fine arte oratoria. Il ritmo del pensiero entrò subito negli animi delle persone. Sicuro, fu una scelta travagliata ma necessaria. La grande destra sognata si concretò grazie all’intuito di Giorgio Almirante; perciò il politico di Bonito accettò l’invito della fiamma. Fu un disegno importante.

    La verve emotiva raggiunse livelli altissimi. Le parole spiazzarono la coscienza. Alfredo Covelli  profuse tutto il suo impegno per la genesi di un soggetto politico innovatore. Definì il MSI –DN come un movimento per la libertà. «Il nostro Congresso – affermò Covelli -è fondamentalmente diverso, perché lo scopo essenziale, lo scopo pertinace dell’MSI-Destra nazionale consiste, all’insegna della lealtà, della sincerità, dell’onestà, di mantenersi decisamente aderente alla realtà nazionale e internazionale. […] I cosiddetti partiti democratici vivono e agiscono come se fossero in un altro mondo, il mondo dei loro sogni, il mondo dei trapassati, ma anche il mondo della loro ipocrisia, delle loro mistificazioni, dei loro inganni». Il grande leader si scagliò contro il decadimento culturale e valoriale della Nazione. Invocò il ritorno dell’autorità del Padre distrutta dalla contestazione. L’arringa assunse toni solenni. Apparve, quindi, il mito evoliano. Confutò sagacemente la crisi etica incarnata dal Papa senza Triregno. Relativizzò finanche sul concetto di democrazia; la cosiddetta “democrazia della moltitudine” fu giudicata vuota di senso e priva di un significato reale. «Democrazia si dice l’unione Sovietica, democrazia si dice la Cina Popolare, la Cuba di Fidel Castro, il Cile di Allende, il Congo di Kinshasa, democrazia si dice il Regno di Gran Bretagna, democrazia sono gli Stati Uniti. Tutti gli Stati del mondo sono democratici: questa è la prima regola di ammissione all’ONU. Dunque, democrazia non significa più nulla».  Fu un discorso palpitante: con un’indomabile fermezza esternò il suo pensiero. Avvertì il brivido di una nuova ed entusiasmante esperienza; divenne il presidente del Movimento Sociale e raffigurò una speranza per l’intera destra italiana. Credo che sia il segno evidente della grandezza dei suoi ragionamenti.

    Elogiò il corporativismo, il nazionalismo e invocò il ripristino dello Stato Nazionale. Criticò il comunismo e contrastò il malcostume dilagante portatore del declino spirituale. Tramite queste considerazioni egli si collocò in netta contrapposizione al pensiero dominante: riconobbe nell’alternativa al sistema la sola salvezza della Patria. E vagheggiò una Nuova Italia in un’Europa unita; abbracciò l’europeismo per contrastare il comunismo e l’Unione Sovietica.

    Ed è davvero affascinante tutto il ragionamento. Covelli si collocò in netta contrapposizione con il mondo progressista: egli sminuì questo termine. Il progressismo fu inquadrato come la causa di tutti i mali. Pertanto contestò la società dei consumi, il capitalismo sfrenato, l’edonismo estremo. In parte decalcò l’archetipo di Giovannino Guareschi. Nel 1963 il grande scrittore emiliano si scagliò contro il decadimento morale della Patria e mostrò un profondo sentimento di nostalgia per l’Italia povera del 1945. È una suggestione interessante; Alfredo Covelli manifestò elegantemente il suo giudizio negativo nei riguardi del mondo contemporaneo pervaso dal progressismo imperante. E inquadrò il Movimento Sociale non come partito di massa, all’inverso come movimento popolare. La massa informe non è vita, è distruzione, numero, impotenza. In pratica la massa disintegra l’individuo, trasforma gli esseri umani in automi. In virtù di ciò egli giudicò il MSI – DN come un partito autenticamente popolare e nazionale. Il popolo è contraddistinto dalla nazionalità e pertanto è unito da un’idea intima e comune. Contrastò sagacemente il processo di massificazione in corso e bramò il ritorno a una dimensione spirituale della vita. Paradossalmente è un Covelli dannunziano. In poche parole è un Covelli geniale. Il Nostro riuscì a coniugare le istanze della Tradizione con quelle di una destra moderna e diversa. Fra le pieghe del discorso è presente lo spirito di Edmund Burke, di Louis De Bonald, di Charles De Gaulle. Egli elogiò la libertà, i doveri, lo Stato Nazionale. In contemporanea si mostrò interessato alla nascita di una “grande destra di governo”. Sono passati tanti anni. Il 1973 è soltanto una chimera sfumata: ciò nonostante è utile rileggere le parole per proiettarle con grande intensità nei nostri giorni.

     
  • Romeo Castiglione 9:06 am il 2 March 2014 Permalink | Rispondi
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    Arturo De Masi, per amore di Manocalzati 

    Per amore di ManocalzatiSarà presentato sabato 15 marzo alle ore 18:00 nella casa della cultura di Manocalzati il mio libro dedicato ad Arturo De Masi. Interverrà il giornalista Pellegrino La Bruna e nel corso dell’appuntamento si esibirà il cantautore Sabino Pece. L’opera esalta la storia politica dell’ex sindaco del paese alla stregua di un piccolo romanzo di provincia; tra le pagine è possibile scorgere la singolarità del mitico fondatore della lista civica Colomba. De Masi amministrò il comune dal 1964 al 1985 e raffigurò un’alternativa credibile. Rappresentò l’eccezione nell’Irpinia democristiana per la sua appartenenza politica al mondo della destra: in pratica fu una voce fuori dal coro e indipendente.

    Nacque l’11 febbraio del 1922: venne al mondo nello stesso anno della Marcia su Roma. Visse la sua gioventù durante il Fascismo e tale peculiarità aiutò il nostro ad affrontare tutte le difficoltà della realtà. Nel 1948 si candidò alla Camera nelle fila del Partito Nazionale Monarchico. Malauguratamente non fu eletto. Iniziò a lavorare nel settore tecnico della forestale a Benevento con l’incarico di geometra.

    Si sposò il 5 maggio del 1957 con Rosetta Montano; offrì ai figli un’educazione rigida e rigorosa. Fu un vero borghese, nel senso più bello del termine. Condusse sempre una vita lussuosa ma non si arricchì mai con la politica. Fu sempre affascinato dal mito dell’America e cercò di allacciare i contatti con i manocalzatesi d’oltre oceano. Questa tipicità caratterizzò le sue idee e le proposte in un periodo spensierato. Egli trasmetteva sentimenti contrastanti: era un leader egocentrico, per tanto lo hanno amato i sostenitori e lo hanno odiato gli avversari. Fu realmente grandioso poiché mantenne unito il paese grazie alle sue iniziative volte al dialogo.

    Sul piano politico non nascose le sue simpatie per la destra. Tuttavia cercò sempre di allargare i suoi orizzonti. In pratica capì l’importanza della persona. Affascina la sua figura proprio per questo motivo: senza dubbio il suo decisionismo merita un’ammirazione particolare. Manca oggi in provincia un amministratore con il suo stile. Con orgoglio, però, non rinnegò mai la sua adesione ideale al Movimento Sociale Italiano. I politici campani lo chiamavano “il sindaco missino”, addirittura lo salutavano romanamente.

    Il 22 novembre del 1964 la sua lista riuscì a vincere le elezioni amministrative. Arturo divenne il sindaco e guidò il comune per ventuno anni consecutivi. Affrontò da protagonista tanta campagne elettorale e ottenne sempre un consenso ampio. Diede alla popolazione una speranza nuova e fondò il suo programma su un ingenuo campanilismo d’altri tempi. Gestì la cosa pubblica in modo deciso e aiutò le classi meno abbienti. Nel suo “ventennio” dorato gettò le basi per il progresso civile e materiale di Manocalzati. Fu ammirato dal resto dell’Irpinia per la severità e per l’acume politico.

    È vera una cosa: il sindaco fu un perseguitato politico. Le opposizioni cercarono di demolire la sua forza. Andò in scena una lunga ed estenuante battaglia contrassegnata dalle denunce, dalle calunnie e dalle carte bollate. Siffatto conflitto iniziò addirittura nel periodo antecedente la vittoria. Infatti, le prime querele ai danni del politico arrivarono intorno al 1962. Non possiamo sapere con certezza quali furono i motivi che spinsero gli anonimi diffamatori a procedere lungo questa atroce e cattiva direttiva. Non fu il sindaco più denunciato d’Italia. Tuttavia sicuramente fu tra i più tartassati.

    In tutti i modi possibili e immaginabili arrivarono tantissime incriminazioni; nonostante sia sempre stato assolto ha calamitato l’attenzione di quotidiani locali e nazionali. Non trovò mai pace. Dovette scontrarsi contro gli avversari duri e convinti.

    De Masi emulò sommessamente Achille Lauro. Anch’egli come il fondatore del Partito Monarchico Popolare desiderò la libertà di azione; nello stesso tempo avvertì l’esigenza di tendere una mano alla Democrazia Cristiana. A tal punto dal suo eremo dorato riuscì a tenere in piedi un patto di non belligeranza con il partito di centro.

    Per di più ricalcò il modello di Juan Domingo Peròn: è un’impressione leggera. Dal peronismo colse lo sciovinismo, il socialismo, il comunitarismo. Apprezzò la mancanza di riferimenti politici ben precisi. Arturo modellò la sua Colomba al di là della destra e della sinistra.

    Il 6 marzo del 1988 Arturo De Masi andò in cielo. Lasciò le beghe di un piccolo paese in una tetra e piovosa domenica mattina e volò nell’infinito degli eroi. Fu stroncato da un terribile infarto ad Avellino e le tenebre si dipanarono con tutti i loro spettri. Una marea umana si addensò nella sua casa e rese omaggio per l’ultima volta al fondatore della colomba. La bara fu avvolta da un tricolore e gli applausi scrosciarono come il diluvio; istintivamente si levò il grido “Arturo, Arturo!” e negli occhi della gente comparvero le lacrime. Finì così la storia di un grande personaggio della politica locale. Si commosse finanche il cielo. Gli avversari onorarono l’ex sindaco e seguirono il feretro fino al cimitero. L’intera comunità partecipò coinvolta al corteo funebre. Ventuno anni di amministrazione non sono pochi.

    De Masi fu un uomo libero. Si dedicò soltanto a Manocalzati per amore; con la sua lista indipendente e poco incline al compromesso non tradì mai il patto con gli elettori. Rimase nel suo “orticello” e lasciò agli altri i voli pindarici. Lui si accontentò di amministrare il paese e lo servì in modo limpido e onesto. La sua rettitudine ancora oggi è un faro per i giovani.

     
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