Giannino Di Stasio, dentro l’Irpinia
Conservo con cura un libro che mi ha regalato mio nonno. Sono un lettore incallito e preferisco leggere i libri considerati a torto “minori”. Ho sempre preferito, in tutti i campi, le cose meno conosciute: dalla musica al cinema, dalla letteratura allo sport. In questo spazio riesco a trovare la mia dimensione.
Nei libri vecchi, dimenticati, fuori moda, riconosco il peso del passato. Un’opera “antica” si individua subito: ha pieghe, pagine segnate, fogli ingialliti. La mia libreria è riempita da libri di ogni contesto storico; accanto all’ultimo lavoro di uno scrittore è collocato un romanzo, un saggio di un altro periodo. Forse, il modo di raccogliere e catalogare gli scritti, in un certo senso, corrisponde alla mia personalità: uno sguardo avanti e uno dietro. “Dentro l’Irpinia” di Giannio Di Stasio è uno dei miei libri preferiti. Lo colloco nelle posizioni alte della mia classifica. Mi piace per una serie di motivi: è dedicato all’Irpinia, parla di un altro Sud, descrive la vita contadina, analizza i rapporti tra le persone dei paesi. In sostanza, si tratta di un libro “completo” ed esaustivo.
L’Irpinia di Di Stasio non c’è più: è stata spazzata via dalla modernità, dalla tecnologia, dal benessere. L’Irpinia “registrata” nel libro è molto affascinante: un “romanzo” per pochi, un’èlite al contrario. Di Stasio è andato contro corrente, ha scelto una strada tortuosa in un periodo (inizio anni ’80) di massima apertura al “nuovismo”; lo scrittore è rimasto nelle sue cose, nella sua terra, ha raccolto i cocci di un dramma ancora vivo. Sant’Angelo dei Lombari, pochi mesi dal terremoto. La forza per rialzarsi è stata tanta. Non c’è stato tempo per il mondo: è svanito un contesto in un “amen”, la Tradizione è stata recisa come una ciocca di capelli.
L’ordine, immutabile e fisso, ha ceduto il posto al vuoto. Soltanto quando tocchiamo le macere, torniamo indietro. Più tocchiamo il moderno più vogliamo tornare indietro; più guardiamo la catastrofe più desideriamo la calma di ieri. La magia del libro risiede nella trama psicologica: un preludio pregno di presente e un tuffo nel tempo andato.
Non c’è altro che l’immaginazione, non c’è altra strada. Soltanto l’immaginazione riesce ad alleviare i dolori atroci. Quanto senti che non ci sono speranze ritrovi la forza dentro. All’imminente che incombe si risponde con la nostalgia. E come flash-back appaiono e scompaiono (sempre guardando le macerie) i volti dei contadini, scavati, solcati dal sole e dalla pioggia, ritorna l’aratro, la fatica della terra, la semina, la raccolta, la scansione di un rito sempre uguale. Una terra amara e cattiva: l’uragano dal nome immigrazione ha prodotto soltanto distacco. Le lettere riprodotte ad una ad una nel libro sono reperti interessanti; attraverso le righe si riconosce la sofferenza, il pianto e lo sgomento. Le fotografie lontane e vicine “parlano da sole”: la fierezza è l’unico conduttore che alimenta la volontà del popolo irpino.
Gli elementi valoriali sono stati volutamente repressi dal moderno: la famiglia allargata è un lontano ricordo, nei casolari pochi ancora resistono alle intemperie. L’albero genealogico non è più incorniciato e affisso ai muri dei saloni. Il ruolo della donna è stato di vitale importanza: tutto passava dalla tempra delle madri di un tempo. L’archetipo della terra è stato sostituito. Così anche la piazza (totem del luogo) e la festa. Una rivoluzione lenta ha rimescolato le carte ed ha facilitato la strada all’omologazione culturale.
Resiste ancora una parte d’Irpinia antica, ma è minoritaria. Lo scrittore ha percepito il mutamento ed ha radiografato il vecchio per farlo tramandare ai posteri. Per questo motivo conservo con cura “Dentro l’Irpinia”. Le pagine che riempiono l’opera sono la narrazione della vita sconfitta. Se guardo con attenzione la fotografia in copertina avverto l’essenza dell’intera opera: l’immagine è stata scattata probabilmente negli anni settanta e raffigura un matrimonio di paese. Un corteo di persone segue gli sposi e i colori acquerellati donano al quadretto un atmosfera da technicolor. Il cielo bianco e gli alberi vuoti rendono anche limpida la stagione: l’inverno. Un matrimonio in inverno, sulla piazza di una paese dell’Irpinia.
Giuliana Caputo 11:10 am il 3 novembre 2013 Permalink |
E’ proprio vero la verde irpinia non esiste più o probabilmente è stata dimenticata irpinesi così ci definì De Gasperi
Romeo Castiglione 6:47 PM il 4 novembre 2013 Permalink |
Condivido il tuo pensiero.