Racconti

Questa storia è inventato. Ho preso spunto dai racconti di mio zio Goffredo Perone e dalla sua passione per la squadra del Cagliari. Con la mano mi ha indicato i luoghi ritratti in una piccola fotografia. Davanti a me s’è schiusa la Sardegna aspra degli anni ’70: i colori abbaglianti e sbiaditi raccontano al tempo le gesta di una gloriosa estate. Un cartello indica in modo perentorio una località di mare; sulla sinistra c’è un bar. Sullo sfondo è riprodotta una vecchia vespa.  Ed è facile immaginare l’atmosfera di quarant’anni fa: è più semplice ancora ascoltare le cicale e il suono di un vecchio mangiadischi. Provo ad immaginare. E in quel preciso istante ho guardato la pioggia fitta di Tufo. Di là dalla finestra s’è dipanato il tempo di febbraio. Negligentemente ho ripreso l’istantanea. Mi sono rifugiato nuovamente nei miei miraggi ed ho desiderato ardentemente vivere quel tempo non vissuto. Così dinanzi a ma s’è aggomitolato un caldo pomeriggio isolano…

Avellino CagliariUNA MAGLIA, UN MIRAGGIO, UNA PARTITA

Dopo quel viaggio la mia vita è cambiata. Ricordo ancora bene le strade, il sole abbagliante e il tepore sconsolato della Sardegna selvaggia. Approdai sull’isola nel luglio del 1981 e rimasi incantato dalla sconcertante bellezza. Quando portai le mie valige all’intero dell’albergo pensai istintivamente a Manocalzati. Il mare solcò una linea immaginaria tra il presente e le mie origini. Di là dalle onde, nel paesello continuò la lotta politica. Subito dimenticai le battaglie, i manifesti e le parole vane. Incontrai nella hall una donna similare a Joan Fontaine con la passione per il Cagliari calcio: mi chiese una sigaretta. Il jukebox profuse nell’aria la canzone “Luna” di Gianni Togni e captai una sensazione irreale. Andò via e non la vidi più. La cercai vanamente ma non la trovai. Pertanto rincasai sconsolato e con una coscienza diversa.

Iniziai ad appassionarmi ai colori rossoblù senza un motivo preciso. A tal punto non sostenni più l’Avellino e andai poche volte allo stadio. Divenni l’unico tifoso dei quattro mori in paese e siffatta singolarità calamitò l’attenzione dei miei amici: nel bar San Marco commentai insieme con loro le azioni di gioco trasmesse dalla televisione; così le domeniche scivolarono senza un sussulto. Sognai quella figura incontrata in estate e vagheggiai un ritorno in terra sarda. Però indugiai e lasciai precipitare la smania. La scrutai nei riflessi dell’acqua e nei tratti dei tramonti. Pertanto formò una figura celestiale e irreale. La depredai dei connotati terreni e la dipinsi come un’icona mistica. L’unico appiglio era il Cagliari: mi appassionai a questa squadra per il ricordo sopito. Nello stesso periodo continuai ad animare la sede del partito e partecipai come spettatore ai consigli comunali. In sostanza coltivai le mie passioni e non ci furono sussulti degni di nota.

Il 9 maggio del 1982 il Cagliari giocò ad Avellino per la penultima giornata di campionato. Mi svegliai con una sensazione strana. Avevo appena sognato un luogo fantasioso baciato dagli abissi. Guardai fuori la finestra e intravidi il grigio plumbeo di una primavera eccentrica. Andai a comprare un giornale sportivo e ispezionai la prima pagina dedicata alla morte di Gilles Villeneuve avvenuta a Lovanio durante le prove del Gran premio del Belgio; sfogliai le pagine e trovai le notizie della serie A. Decisi in quel modo di acquistare un biglietto. Con la mia automobile giunsi nei pressi del botteghino e comprai un tagliando per il settore ospite.

Mangiai poco. Osservai le immagini del telegiornale dedicate al pilota: la salma fu condotta all’interno di Boeing 707 diretto in Canada. Cambiai canale subito dopo e lasciai la mia stanza. Giunsi nei pressi della Curva Nord alle ore 13:50: m’incamminai verso l’ingresso e fui travolto dal calore dei tifosi sardi. Un mare di bandiere e tamburi pervase il mio immaginario. La vita si aggomitolava in tutto il suo splendore. Trovai un posto in alto e accesi una sigaretta. All’improvviso venne a piovere e mi riparai con l’ombrello. Lo speaker annunciò le formazioni. L’Avellino schierò Tacconi, Rossi, Giovannelli, Tagliaferri, Pezzella, Di Somma, Piga, Piangerelli, Juary, Vignola e Facchini; il Cagliari allineò, invece, Corti, Lamagni, Azzali, Restelli, De Simone, Loi, Osellame, Quagliozzi, Selvaggi, Marchetti e Piras. L’altoparlante emanò nell’aria la sigla “Yellow sub marine” e tutto lo stadio sostenne i lupi. I padroni di casa erano già salvi, agli ospiti bastava un pareggio. Le maglie verdi andarono a salutare la Curva Sud; quelle bianche si limitarono al riscaldamento.

Il Cagliari andò il vantaggio all’undicesimo minuto del primo tempo grazie ad un missile di Selvaggi. Il gran gol mandò in estasi i tifosi isolani. Il calciatore esultò e abbracciò i compagni. Istintivamente battei le mani per la grande prodezza. Ammirai inoltre la classe di Marchetti: vidi dal vivo le fini giocate dell’atleta e apprezzai la forza e lo stile. L’Avellino pareggiò con Juary. Però non ci fu nessun giro di bandierina: il brasiliano andò soltanto sotto la Tribuna Terminio. Quello fu l’ultimo centro con la casacca verde prima di passare all’Inter.

Il secondo tempo si aprì benissimo per i sardi. Piras realizzò un gol rocambolesco e in seguito a ciò il lupo aizzò bandiera bianca. Dopo una decina di minuti Marchetti offrì con contagiri un pallone a Selvaggi ma Tacconi uscì rovinosamente sul numero nove. Ma non finì così: all’ottantacinquesimo il solito Marchetti scaraventò in porta un bolide al limite dell’aria di rigore. In seguito arrivò anche il quarto gol. Lo siglò Selvaggi a tempo scaduto.

Quando l’arbitro Longhi di Roma fischiò la fine del match scoppiò la festa nel mio settore. Il Cagliari era salvo e gli atleti con il mister Carosi si diressero sotto la Nord. Percorsi in fretta i gradoni e scesi giù a ridosso del cancello. Un calciatore lanciò una maglietta e fui capace di afferrarla: perciò acclamai le gesta della squadra. Poi, improvvisamente, scrutai una sagoma. Fu un miraggio, forse. Tra la folla intravidi i lineamenti di quella donna incontrata in Sardegna. Rimasi in silenzio per un paio di minuti con la maglia in mano. Dentro di me i pensieri contrastanti si mischiarono. Era lei? Chissà. Pensai alla poesia di TrilussaStella candente” e mi allontanai mestamente. È meglio immaginare un’utopia piuttosto che afferrarla…